Ci sono cose per le quali nutro un’ammirazione e rispetto sconfinati.
Oggetti e concetti, per me, quasi intoccabili.
La maggior parte ruotano attorno alla musica: saper suonare, saper cantare, saper comporre, saper domare un palcoscenico.
E quando dico “sapere” intendo il significato più pieno e puro del termine: esserne capaci davvero.
Al deferenza che provo per chi ha queste abilità mi ha sempre portato a fare un passo indietro.
Che non significa non provare a farle io stessa, con tutto l’impegno e la dedizione delle quali sono capace, ma semplicemente imparare a “fare un passo indietro” al cospetto del talento vero.
Sono convinta appieno che, almeno per quanto riguarda me, sia la cosa giusta da fare, ma ho scoperto un effetto collaterale:
per lunghissimo tempo sono stata convinta di non saper fare un sacco di cose.
Alcuni esempi pratici:
– So cantare un’aria lirica, ma non un brano “pop”.
– So suonare il pianoforte con davanti uno spartito, ma non accompagnare anche un banale pezzo utilizzando gli accordi.
– Non sono proprio capace di scrivere una canzone
– Sono contraria allo sforzo atletico per natura
Spoiler: la seconda e la quarta sono tutt’ora assolutamente vere.
Ma sulla prima e la terza in questi anni ho fatto scoperte interessanti:
Con la leva giusta, motivazione ed impegno (quasi) tutto è affrontabile.
Per il canto in fondo sapevo che raggiungere l’obiettivo sarebbe stato possibile.
Servivano tempo, esercizio costante, caparbietà, tenacia e, soprattutto, l’insegnante giusto (ringrazio ogni giorno per averlo incontrato).
La scrittura no. Per me era una barriera invalicabile.
Ammantata di quel fascino mistico, quasi magico.
Irraggiungibile.
E invece no.
In modo del tutto inatteso si è aperto un mondo.
Travolgendomi come un tir.
1 Giugno 2019.
Un seminario dedicato ad aiutare i partecipanti a trovare la canzone giusta da “indossare”.
Preparando il brano per il quinto appuntamento (il compito della settimana era quello di assegnarci noi stessi un pezzo), sento attraversarmi uno sfrigolio d’insostenibile insofferenza.
Non trovo proprio nulla che mi rappresenti.
Scartabello a raffica YouTube, iTunes e Spotify con l’ansia che aumenta.
Mi irrito.
Decido di ascoltare un po’ di Linkin Park per sfogarmi e liberare la testa.
Sarà forse per tutte le ricerche fatte in precedenza, ma YouTube mi mette davanti una cover di Numb, fatta in acustico da una ragazza francese.
Ascolto, mi incanto.
Il testo francese scivola perfetto all’interno della metrica (Voce incredibile peraltro).
Adoro Numb.
Fa parte di quelle cose per me perfette ed intoccabili, ma in quell’istante provo solo meraviglia, per la scoperta di una perla inattesa.
L’ansia sparisce e pian piano si fa strada un’idea istintiva.
Che decido di seguire.
Scrivo anch’io un testo su quell’arrangiamento.
Non so come, ma esce quasi di getto. Un fiume in piena.
In fondo so che non é nulla di particolarmente eccelso, ma sento dentro una sensazione di estrema libertà: non è perfetto, ma è “mio”.
Prima non c’era, ora esiste.
Da lì, nel giro di meno di un mese, avevo messo nero su bianco tre brani originali, musica e testo. Ma questa è un’altra storia.
Il 10 luglio cantavo per la prima volta su un palco qualcosa che avessi, almeno in parte, scritto io.
Nell’economia dell’universo dell’arte non è nulla, ma è stato “il tutto” per me: l’impossibile che prendeva forma